Nota biografica su Douglas Harding

Douglas Harding nacque il 12 febbraio 1909 Lowestoft, nel Suffolk in Inghilterra. Crebbe in una setta protestante integralista, “i Fratelli Esclusivi di Plymouth” (Exclusive Plymouth Brethren). I Fratelli credevano di essere i prescelti, di essere loro i soli a seguire il vero cammino verso Dio, e che tutti gli altri fossero destinati all'Inferno. All’età di 21 anni, Harding si allontanò; non poteva accettare la loro visione del mondo. Che garanzia c’era che avessero ragione? E allora? Che ne era degli altri gruppi spirituali che affermavano di avere l’unica Verità? Non potevano avere tutti ragione.

Compiuti gli studi a Londra negli anni trenta, Harding cominciò a lavorare come architetto. Nel tempo libero però si dedicava alla filosofia, cercando di comprendere la natura del mondo e di se stesso. Influenzato dalla Teoria della Relatività che all’epoca si stava infiltrando nella filosofia, Harding si accorse che la sua identità dipendeva dalla distanza dell’osservatore, ossia da quale distanza veniva esercitata l’osservazione di sé. Se avveniva da pochi metri egli era un essere umano, ma se lo sguardo si avvicinava diventava cellule, molecole, atomi, particelle...Se si metteva in atto il procedimento inverso e lo sguardo si allontanava, egli diveniva tutt’uno con la società, con la vita, con il pianeta, il sistema solare, la galassia… Come una cipolla era composto da diversi strati, ovviamente tutti necessari per la sua esistenza.

Ma cosa c’era al centro di questi strati, si chiedeva? Lui, chi era davvero?

A metà degli anni trenta, Harding si trasferì con la sua famiglia in India, dove lavorava come architetto. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, la ricerca sulla sua Vera Identità o identità al centro (come lui la chiamava) divenne più urgente. Consapevole dei pericoli della guerra, voleva scoprire chi era davvero prima di morire.

Un giorno Harding s’imbatté in un disegno del filosofo e fisico austriaco Ernst Mach. Era un autoritratto, ma aveva una particolarità. Di solito un autoritratto rappresenta l’artista che, guardandosi allo specchio da una distanza di qualche metro, disegna ciò che vede. Mach invece si disegnò senza lo specchio, dal suo punto di vista, cioè da quello che potremmo chiamare “punto zero”.

Quando Harding vide questo autoritratto, capì tutto. Fino a quel momento indagava sulla sua identità da vari punti di osservazione. Cercava di arrivare al suo centro togliendo i vari strati. Ma questo era un autoritratto dal punto di vista del centro stesso. La cosa ovvia di questo ritratto è che non si vede la testa dell’artista. Per la maggior parte della gente, questo fatto è solo interessante, divertente, niente di più. Per Harding fu la chiave che aprì la porta alla sua identità più intima perché notò che lui stesso era in una condizione simile: anche la sua testa mancava! Al centro del suo mondo non c’erano né testa né apparenza, non c’era nulla in assoluto. E questo “nulla” era un “nulla” molto speciale perché era allo stesso momento consapevole di se stesso e colmo del mondo intero. Tanti anni dopo, Harding scrisse della prima volta che vide la non-testa.

“Non credo che ci fosse una prima volta,” disse. “Se c’era, si trattava semplicemente di diventare più consapevole di ciò di cui ero sempre stato vagamente consapevole. In ogni caso, come potrebbe esserci una ‘prima’ visione di ciò che è senza tempo? Mi ricordo di un’occasione in cui ho visto ‘dentro’ molto distintamente. Scoprii nella “Grammatica della scienza” (Grammar of Science ) di Karl Pearson una copia dell’autoritratto di Ernst Mach in cui si rappresenta sdraiato sul letto, come una figura senza testa. Mi resi conto che lui ed io guardavamo il corpo e il mondo dal centro delle nostre apparenze e che questo centro era come il cuore di una cipolla con tanti strati intorno. Era chiaro che L’Ordinamento, che all’epoca avevo appena cominciato a formulare, doveva avere la non-testa sia come punto di partenza sia come nocciolo.”

Harding descrisse la sua scoperta in modo più spettacolare nel primo capitolo del libro On Having No Head (”La via senza testa. Lo zen e la riscoperta dell’ovvio”, Astrolabio). (Per leggere il passaggio inerente, clicca qui.)

Dopo questa scoperta, Harding passò altri otto anni lavorando sul testo The Hierarchy of Heaven and Earth (L’Ordinamento del cielo e della terra). CS Lewis, nella prefazione, lo definì “un capolavoro assolutamente geniale”. Fu pubblicato da Faber and Faber nel 1952. (Nel 1998 Shollond Trust pubblicò l’edizione integrale del manoscritto originale. Visita il bookshop.) In questo libro Harding esplora la sua scoperta, mettendola alla prova per capirne il senso più ampio e profondo. Non è un libro per un pubblico popolare, ma uno di quei libri che verrà riconosciuto nel tempo come un capolavoro della filosofia.

Nel 1961 la Buddhist Society (Società Buddista) pubblicò un’edizione di La via senza testa per un pubblico più generico (disponibile nel bookshop).

A cavallo degli anni ’60 e ‘70 Harding elaborò alcuni esperimenti. Sono esercizi di consapevolezza che rendono semplice la visione della propria mancanza di testa. Ci invitano a esplorarne il significato e a sperimentare le sue implicazioni nella vita quotidiana.

Harding scrisse altri otto libri, disponibili nel bookshop.

Morì nel gennaio del 2007, poco prima del suo novantottesimo compleanno.

Vedi il necrologio su Douglas Harding tratto dall’Independent.

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